Sorprende un po - ma fino ad
un certo punto l'analisi operata a Napoli da alcune Associazioni
Forensi e dai locale Consiglio dell'Ordine di Napoli, poi
sfociata nella mozione finale pubblicata anche su Diritto
e
Giustizia del 3 febbraio scorso.
Pur nella consapevolezza che in un Convegno non si possano
trattare con completezza variegate problematiche, l'accostamento
di alcuni atavici problemi della giustizia e cioè lunghezza
dei procedimenti civili e penali, richiesta di una giustizia
pronta, efficiente ed ultimo baluardo per una garanzia sostanziale
di tutti i cittadini, poco si confá con il problema
inerente la formazione e l'accesso alla professione forense
delle giovani leve nelle Università ed, in seguito,
con la pratica forense.Tale approccio, anche solo intellettuale,
dinanzi alla malattia che coinvolge i giovani legali è
miope e monco di alcuni aspetti essenziali.
Si è mai visto un medico fare un'anamnesi completa
ad una paziente per telefono?
Si è mal visto un medico curare un paziente senza ascoltare
dal malato stesso quali sono i sintomi ed i malesseri che
avverte?
In un atteggiamento forse non di supponenza, ma sicuramente
errato, si parla sempre di giovani, senza mai interpellarli.A
Napoli sì è asserito che erano coinvolte le
Associazioni maggiormente rappresentative, ma di chi e per
che cosa. Dove era l'Associazione Nazionale dei Praticanti
ed anche dei Giovani Avvocati che in essa si riconoscono?
Non che se ne faccia un problema di anagrafe, ma chi, nella
migliore delle ipotesi, è da quasi 15 anni nel mondo
forense, forse, non vive più sulla sua pelle i problemi
dei giovani, e non coglie più alcune evidenti anomalie.Importante
sarebbe stato dibattere serenamente con l'unica Associazione,
presente su tutto il territorio nazionale, che ha un Consiglio
Direttivo Nazionale di praticanti e giovani avvocati con un'età
media di 31 anni.Certo, forse, interloquire con il proletariato
forense, così da definizione espressa nel documento
di Napoli, avrebbe fatto storcere li naso a qualche perbenista
della classe forense, innamorato dei concetti, delle tavole
rotonde, ma assai distante dai problemi, dei giovani colleghi,
dalle loro aspettative, dalle loro concrete esigenze, dalla
loro voglia di proporsi e vestire con fierezza, serietà
e bravura la Toga.Per l'effetto, allontanandomi dai problemi
della Giustizia e dal malevolo adeguamento delle nobili ed
antiche classi forensi all'esigenze di rinnovamento (per cosi
come espresso nei documento napoletano), mi soffermerei sui
problemi dei giovani legali.Occorre sforzarsi per recepire
le vere esigenze ed i veri mali dell'accesso alla professione
forense. Certo ci sono interessi diversi e variegati, che
coinvolgono le Università, le Scuole Forensi, con il
consequenziale topico problema (non per noi, ma per alcuni
sicuramente tale) su chi gestirà l'inevitabile enorme
flusso di denaro che su di esse confluirà.La riforma
Moratti ha statuito una strana pseudo-produttività,
più lauree = più contributi, in una sorta di
mostruosa equazione che nei prossimi anni farà si che
centinaia ci migliaia di nuovi laureati in Giurisprudenza
si affacceranno nei nostri Tribunali.Nelle Università,
ove in un clima di sessantottina memoria esisterà,
cosi, un nuovo 18 politico, fondato non su vecchie ideologie,
ma su nuove scelte tecnocratiche ancorate ad onirici parametri
di pseudo-produttività.Università con ambizioni
e programmi sempre più teorici.Per noi sarebbe stato
assai più vantaggioso ed importante concentrarsi su
un tentativo di fornire ai giovani laureandi una preparazione
pratica, assunta anche nelle Aule giudiziarie, con un apprendimento
concreto della professione forense.
E che dire delle Scuole Forensi, concepite come un ulteriore
parcheggio a pagamento, ove potranno posteggiarsi i giovani
laureati, con continui esborsi di danaro, cosicché
essi potranno continuare a fare i disoccupati, anzi gli inoccupati
nobili?.Ci sorprendiamo, poi, quando Il Foro di Napoli parla
di accesso facile, come a prospettare (dimentico anche delle
recentissime percentuali dei neoabilitati in quel Distretto)
che la professione forense è libera, e non è
suscettibile di valutazioni quasi concorsuali.
Un plauso alla richiesta di maggiore oculatezza da parte dei
Consigli e degli studi legali. Ma dov'erano alcuni Consigli
dell'Ordine, quando l'Anpa, in tutt' Italia, chiedeva - con
voce stentorea - serietà nei controlli della pratica?
Quando ci chiedevamo com'era possibile che in studi legali
di 100 metri quadrati facessero pratica oltre 20 praticanti
avvocati? Se occorre moralizzare l'ambiente tutto ciò
non può partire sempre dai più deboli, dagli
ultimi arrivati e cioè dal giovani laureati; i problemi
sono a monte.
Si ad una pratica seria, effettiva, concreta, l'unico strumento
in grado di garantire quella preparazione tecnico preparazione
tecnico-giuridica pratica, quello stile, quella fierezza di
essere e sentirsi Avvocati. E
certo non ci riferiamo all'inutile de-formazione delle Scuole
Forensi, ma a quella pratica tradizionale espletata presso
gli Studi Legali.Rimane fermo che l'Anpa, anche questa volta
è l'unica voce - giovane - che si leva in difesa dell'interesse
reciproco del praticanti e degli avvocati a non interrompere
quel biennale flusso di conoscenze ed esperienze assumibile
unicamente presso gli studi professionali. Solo questo può
e deve essere l'unico percorso formativo, nonché l'unico
metodo per l'accesso alla professione forense.
* vicepresidente nazionale (Sud Italia)
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