Il Segretario
Nazionale Petazzi su Diritto e Giustizia
da
www.dirittoegiustizia.it
Studio legale cerca giovane collaboratore. E speriamo
che sia femmina
Ordinamento Forense / Avvocati Articoli - Quotidiano
del: 16/06/2005
Discriminazione sessuale “al contrario”, negli studi
legali il collaboratore più richiesto è donna. A
denunciarlo è l’Associazione nazionale praticanti e
avvocati (Anpa), l’unica che annovera tra i suoi membri
dell’esecutivo una maggioranza di esponenti del “gentil
sesso” (3 su 5).
Basta visitare – si legge nel comunicato diffuso ieri
dal segretario nazionale Giovanna Petazzi – i siti
internet in cui si raccolgono le domande e le
offerte di collaborazione negli studi legali, ed in
particolare l’Ordine degli avvocati di Milano per
rendersi conto di come un requisito espressamente
richiesto sia quello di essere donna. Una tendenza che
si riscontra soprattutto negli studi che si occupano
prevalentemente di diritto di famiglia, ma non solo.
Del resto, verificare è facilissimo, e bisogna soltanto
connettersi al sito dell’Ordine degli avvocati di Milano
(www.ordineavvocatimilano.it), “cliccare”, alla destra
della homepage, sul link
«domanda/offerta», e scegliendo la voce «cerca uno
studio» si potrà accedere al servizio che consente di
visionare gli annunci che i professionisti pubblicano
sul sito.
Tuttavia, visto che la maggior parte delle richieste
provengono da legali che si occupano di diritto di
famiglia – si legge ancora nel comunicato – si potrebbe
pensare che tale scelta sia condizionata dalla maggiore
propensione che la donna ha all’ascolto e dalla maggiore
sensibilità che può avere nel trattare argomenti che
comportino un coinvolgimento emotivo più intenso. Ma
anche se solo questo fosse il motivo – ha continuato l’Anpa
– il criterio del sesso, in virtù dei principi
comunitari, legislativi ed etici, non dovrebbe mai
essere posto a condizione per la scelta di inserimento
in un ambiente lavorativo di qualsiasi genere.
Se poi si pensa che il Consiglio dei ministri ha emanato
il 27 maggio scorso il D.Lgs che recepisce la direttiva
comunitaria 2002/73/Ce (si veda in proposito il
quotidiano del 28 maggio 2005) volta all’attuazione del
principio di parità di trattamento tra uomini e donne
per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione
e alla promozione professionali e più in generale le
condizioni di lavoro, la situazione è ancora più
paradossale. Infatti, rafforzare la tutela della parità
significa non discriminare neanche gli uomini.
«A noi sembra – ha continuato Giovanna Petazzi – che la
discriminazione degli uomini in alcuni studi
professionali sia dettata da ben altri motivi,
soprattutto di ordine economico e gestionale. Ed infatti
le esigenze familiari e di vita della donna condizionano
inevitabilmente la scelta di organizzazione della
propria professione; essere una giovane “avvocata”
comporta molti sacrifici e, come i dati statistici
dimostrano, il maggior numero di chi abbandona la nostra
professione è costituito da donne tra i 30 e i 35 anni.
Ed allora viene subito da pensare che una collega
inserita nello studio costituisca una minor minaccia:
difficilmente potrà diventare una concorrente, mettersi
in proprio e “accaparrarsi” i clienti. Inoltre, nella
maggior parte dei casi, ma non in tutti, una donna
avvocato non riesce a sostituirsi come figura leader
al posto del dominus».
Quello
che l’Anpa denuncia è il «comportamento apparentemente
illecito e anti-etico tenuto da alcuni colleghi
milanesi: le offerte di inserimento professionale
rivolte esclusivamente a praticanti avvocato donne, sono
redatti e pubblicati in violazione delle norme
comunitarie e nazionali e ne deve essere eseguita
l’immediata rimozione con eventuale segnalazione
all’Ordine locale di appartenenza».
Cristina Cappuccini